martedì 15 giugno 2010

Comunicazione di servizio

Si avvisa la gentile clientela che commenti idioti tipo questo:

"ammazza che drammaturgo... leggendo mi sono calate le palle ... e ci amiamo là, dopo quà, dopo bruciamo, e poi ci riamiamo, e poi piango, e voi vado al cesso... avete amato lì?"

Lasciati da persone che si firmano con un bell' "Anonimo", non saranno più pubblicati.

Un consiglio: abbiate almeno la decenza -e le palle, soprattutto- di farvi riconoscere. O almeno di firmarvi.
E se proprio non avete un cazzo da fare, poverini, scaricatevi qualche bel pornazzo e riempitevi di seghe. Almeno così potete prevenire il tumore alla prostata ^__^

Grazie dell'attenzione e buon proseguimento ;)

sabato 12 giugno 2010

Tokyo Life #07 (da Roma...)

[Ultimi appunti sulla mia parentesi giapponese, scritti sul volo di linea JAL Tokyo - Roma, il 1° giugno 2010]

Sono sull'aereo. Sto tornando in Italia.
Sono solo a metà del viaggio, mancano ancora poco più di sei ore per arrivare a Roma.
Se penso che fino a ieri ero tra le braccia di Yasu, mi sento morire.
Sono stati altri cinque giorni pieni, meravigliosi. Indimenticabili.

Giovedì arrivo a Kanazawa verso le due e mezza del pomeriggio, come la prima volta.
Stavolta Yasu non c'è in stazione, ho deciso tutto all'ultimo momento e non poteva assentarsi da scuola, ovviamente. Ma dice che mi raggiungerà in serata, verso le sette.
Passano le sette, le otto, le nove...mi manda un messaggio dicendo che non potrà raggiungermi quella sera, perchè ha appena detto tutto di noi ai suoi genitori ed ora stanno discutendo.
Non mi sta bene, naturalmente. Mi sono fatto altre quattro ore di treno, ho speso di nuovo un bel pò di soldi per l'albergo, non possiamo non vederci.
Decido quindi di prendere l'ultimo autobus della giornata e raggiungerlo sotto casa, poi quel che sarà sarà, non morirò di certo.
Dice di non farlo, che non servirebbe a nulla, che sono pazzo, ed ha ragione. Se non si fanno pazzie per amore, allora per cosa andrebbero fatte?
Ho bisogno di vederlo, assolutamente. Altrimenti impazzisco davvero.
Arrivo alla fermata del suo quartiere verso le dieci di sera, sotto una pioggia battente.
Dopo poco mi raggiunge, per fortuna ha smesso di piovere.
Lo vedo correre verso di me, in lacrime, mi abbraccia e mi tiene stretto per dieci minuti.
Che mi sembrano dieci secondi.
Mi chiede scusa almeno un centinaio di volte. Non deve, non è colpa sua.
Ci baciamo, ci prendiamo per mano e cominciamo a passeggiare.

Mi racconta che non ce la faceva più a tenersi tutto dentro, a tenermi nascosto alla sua famiglia.
Mi dice che ora anche io sono la famiglia.
Piango come un idiota appeno glielo sento dire.

Sua madre ha dato letteralmente di matto, dice che non mi accetterà mai e che se continua a stare con me può scordarsi di avere una madre.
Suo padre invece dice che per lui va bene, ma che comunque, al momento, deve pensare soprattutto a studiare per gli esami d'ammissione all'università che avrà tra qualche mese.

Stiamo insieme un paio d'ore. Poi lui torna a casa ed io mi incammino a piedi verso l'albergo, che è praticamente dall'altra parte della città. Ci metto quasi un'ora e mezza, mentre la pioggia riprende a cadere.

Venerdì mattina salta la scuola e corre da me.
Passa tutto il giorno con me. Ci amiamo, andiamo a pranzare, passeggiamo, parliamo, scherziamo, ci amiamo di nuovo. E di nuovo ancora.
Passa la notte da me. Ed io mi sento al settimo cielo. Felice, libero. Nuovo.
Mi sento in Paradiso.

Passiamo insieme anche tutta la giornata di sabato. Ma la sera, dopo cena, deve tornare a casa almeno un paio d'ore per farsi vedere dai suoi, altrimenti lo danno per disperso. Dice che ritornerà più tardi, per passare di nuovo la notte con me.
Ma non succede.
Verso le dieci mi manda un messaggio dicendo che sta venendo davanti l'albergo con i suoi genitori. Mi vogliono parlare. Ed io ovviamente mi faccio prendere dal panico.
Arrivano. Suo padre scende dalla macchina e si presenta nel modo più gentile ed educato possibile. Sua madre piange e non mi degna neanche di uno sguardo.

Ci feriamo in una caffetteria a parlare.
Yasu è seduto accanto a me e mi stringe la mano. I suoi sono seduti di fronte a noi.
La madre sembra voglia fulminarmi con lo sguardo, il padre invece comincia a parlarmi in un inglese pacato e capibilissimo, con il sorriso sulle labbra.
Dice che è contento della nostra relazione, che non ci intralcerà. Aggiunge però che la priorità di suo figlio, al momento, deve essere, come ho detto prima, lo studio.
Non mi scoraggio, perchè so che la sua priorità sono io, lo studio viene dopo di me, ovviamente.
Sua madre comincia ad andare quasi fuori di testa. Parla solo giapponese, Yasu e suo padre diventano interpreti per un pò.
Dice che suo figlio è ancora un bambino, che le relazioni omosessuali la disgustano, che Yasu, mettendosi con me, ha tradito il suo bene e la sua fiducia.
Le solite stronzate da persona ottusa. E' letteralmente terrorizzata all'idea di perdere suo figlio.
E' convinta che io voglia portarglielo via.
Non mi chiede di lasciarlo. Peggio, chiede a Yasu di scegliere tra me e lei.
E lui fa la scelta più ovvia, me.

All'improvviso il terrore si dipinge sui nostri volti.
Dalla sua borsa prende due fagotti, in uno vi ha nascosto un paio di forbici, nell'altro un coltello da cucina, di quelli belli grossi.
A me e a Yasu ci si gela il sangue. Immaginiamo il peggio.
Ma li ha portati solo per dirmi che quando lo ha partorito la hanno dovuto tagliare non so che cosa con arnesi simili a quelli. Ha voluto solo impressionarci.
Crede forse che così facendo possa avvalersi del diritto di essere l'unica ad amare suo figlio? Mah...

Ripeto per l'ennesima volta che sono serio, che ci amiamo davvero, che lo amo davvero. E che il mio unico scopo nella vita è quello di renderlo felice.
Sua madre non risponde e si gira dall'altra parte. Suo padre, invece, mi ringrazia, addirittura.

Mi riaccompagnano in albergo. Yasu chiede a suo padre se può restare a dormire con me. Acconsente.
Saliamo in camera e dopo neanche mezz'ora ci chiamano al telefono dicendo a Yasu di tornare a casa con loro: sua madre sta dando troppo di matto e il marito non riesce più a farla calmare.
Ci salutiamo tra mille pensieri, un abbraccio eterno e decine di baci.
Quella notte sarà terribile, soprattutto per lui.

Domenica è distrutto, lo siamo entrambi in realtà.
Mi raggiunge in albergo verso l'ora di pranzo. Facciamo l'amore più volte.
Finiamo all'inferno e saliamo in Paradiso, più volte.
Diventiamo una cosa sola più volte.

Quella sarà l'ultima notte che passo a Kanazawa, e mi ha promesso che la passeremo insieme.
Torna a casa dopo cena, dice che mi raggiungerà verso mezzanotte, a qualunque costo.
Sono le due passate...ed io intanto mi addormento.
Verso le tre e mezza mi sveglia un suo messaggio:
"mia madre mi ha tenuto a litigare fino ad ora, ma non mi importa nulla, voglio tener fede alla promessa che ti ho fatto. Ho bisogno di te."
Alle quattro del mattino è da me.
Tra le mie braccia, a bruciare con me.

Dio, quanto lo amo.

Lunedì mattina dobbiamo lasciare l'albergo alle undici.
Ovviamente non dormiamo affatto. Passiamo ogni minuto ad amarci, ad ardere l'uno per l'altro.
A consumarci.

Lasciamo l'albergo. Il mio treno per Tokyo è alle sei del pomeriggio, abbiamo ancora un pò di ore da passare insieme. La giornata è favolosa e lui decide di andare a passeggiare al fiume. Ci buttiamo sul prato di fronte al fiume-non-mi-ricordo-come-si-chiama. C'è sole e caldo e facciamo i fidanzatini innamorati. In fondo è ciò che siamo.
Cerchiamo un luogo appartato per poter passare gli ultimi momenti di intimità insieme.
Per poterci scambiare ancora qualche bacio, qualche carezza.
Le sei si avvicinano, e si avvicinano anche le lacrime.
Piangiamo insieme, così tanto quasi fino a svenire. Ci sediamo. Ci manca l'aria.

Lui assaggia le mie lacrime ed io le sue.

Ormai ci apparteniamo, totalmente.
Rinnoviamo le nostre promesse, parliamo del nostro matrimonio.
Ci stringiamo talmente forte quasi fino a romperci le ossa. Vorremmo morire insieme, piuttosto che separarci, ma sappiamo entrambi che farlo sarebbe troppo stupido.
Lui dovrà lottare per venire in Italia. Fortunatamente non così tanto, dato che suo padre è con noi. Ma sarà comunque un'attesa dura da sopportare.
Ci amiamo nonostante tutto. Nonostante tutti.
Condividiamo e condivideremo le nostre vite. Faremo di tutto per cercare di realizzare il nostro sogno.
Che bello poter dire "Il nostro sogno". Voglio che lui sia la mia famiglia.
Dio, quanto lo amo.

Sono sull'aereo.
Qualche minuto fa sono andato a chiudermi in bagno a piangere. Dovevo sfogarmi, non resistevo più a tenermi dentro tutta questa tristezza.
Non vedo l'ora di sentirlo di nuovo stasera, di sentirlo dire ancora una volta "I love you, Paolo".

E' incredibile quanto si possa amare così intensamente qualcuno.
Così immensamente qualcuno.
E' quasi indescrivibile.
E ringrazio Dio ogni giorno per tutto questo.

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