mercoledì 26 maggio 2010

Tokyo Life #6

Ieri sono tornato da Kanazawa.
Sono stato lì un giorno in più del previsto, dal 22 al 25 maggio.
Ho conosciuto Yasu, finalmente. Mi è venuto a prendere in stazione verso le 14:30, abbiamo pranzato e siamo andati in albergo.
E lì è cominciato tutto.

In realtà, tutto è cominciato da quando ci siamo salutati alla stazione: mi ha travolto come un uragano, ancor più bello e sexy di come appariva in foto.
E' di una bellezza travolgente, di quelle che ti tolgono il fiato. Credo davvero non esista ragazzo più bello al mondo, e chi mi conosce e conosce il mio passato, sa che non lo dico tanto per dire, ma con la più totale e completa sicurezza.

Abbiamo fatto l'amore.
Ed è stato come volare. Ed è stato come sognare.
Ed è stato come tuffarsi nell'oceano e nuotare con i delfini.
Ed è stato come andare sulla Luna e respirare profumo di girasole.
Ed è stato come una luce così intensa da carbonizzare persino le palpebre.

Siamo stati chiusi in albergo praticamente giorno e notte, uscivamo solo per mangiare e sgranchirci un pò le gambe. Fare una passeggiata, mano nella mano, a notte fonda, e sentire solo il rumore dei nostri cuori che battono.
Abbiamo fatto la doccia insieme, decine di volte, ed è una delle cose che mi mancano di più.

Abbiamo fatto l'amore, ed è una delle cose che mancano di più.
Abbiamo condiviso e fuso insieme i nostri sguardi, i nostri abbracci, i nostri sorrisi, le nostre lacrime. Ci siamo donati i nostri cuori, le nostre menti, i nostri ricordi, le nostre verità, i nostri mondi.
Siamo diventati un libro aperto l'uno per l'altro. Ci siamo raccontati le nostre vite, completamente, totalmente, senza menzogne, senza omissioni, senza bugie.

Ci siamo scambiati le nostre anime.

Non mi sono mai sentito così amato e desiderato in tutta la mia vita. Mai.
Ha accettato tutto di me. Ama tutto di me, i miei pregi e soprattutto i miei difetti. E non può più farne a meno.
Ha detto che vive per me e che vuole dedicare tutta la sua esistenza a me, solo a me.
Ed io impazzisco per lui.

Non ho mai -mai, MAI- amato qualcuno così intensamente, quasi fino a sentirmi male, quasi fino a perdere i sensi, quasi fino a prendere fuoco.
Come la chiamano? Autocombustione? Esiste davvero, ve l'assicuro.

Ci siamo scambiati dei vestiti. Io ho la sua sciarpa, una sua t-shirt e una sua camicia.
E in più ho anche il suo cuore.
Ci siamo scambiati delle promesse.
Abbiamo comprato degli anelli, uguali ovviamente, e ci abbiamo fatto incidere sopra i nostri nomi.
Abbiamo deciso di sposarci. Forse tra un anno, o forse più avanti, la data precisa è ancora difficile stabilirla.
Non ci importa nulla delle distanze, del tempo, della lontananza. Abbiamo deciso di tenere fede alle nostre promesse, di rispettarci ed amarci nonostante tutti i problemi che ci separano.
I giapponesi sono molto fedeli da questo punto di vista, per fortuna, e di solito, quando amano qualcuno, lo fanno davvero per tutta la vita.

E' il ragazzo più dolce, sensibile e generoso che abbia mai incontrato. E me lo ha dimostrato anche troppe volte. Dio mio, ma cosa ho fatto per meritarmi così tanto?

Abbiamo fatto l'amore.
E siamo diventati una cosa sola, un unico essere con lo stesso cuore, con gli stessi sentimenti, con le stesse passioni, con le stesse paure.
Con la stessa anima.

Mi ha stretto a se, ha sudato su di me, ha ansimato e tremato con me, mi ha detto semplicemente " I love you, Paolo, and I'll always do" decine di volte al giorno. Ed è la cosa che mi manca di più.

Il momento dell'addio è stato a dir poco traumatico. Già dal giorno prima abbiamo cominciato a piangere come due bambini. Trascinati via da lacrime, singhiozzi e respiri mozzati.
Fiumi di lacrime, a dir la verità.
Mi bacia in pubblico, mi stringe la mano in pubblico. Mi accarezza il viso in pubblico.
Chiede sempre il mio parere, anche in questioni in cui io non c'entro nulla.
E tutto ciò mi fa sentire importante. Speciale.

Lui mi fa sentire vivo.
E completamente, totalmente felice.

Ieri sono tornato da Kanazawa.
E domani ci vado di nuovo.

Tokyo Life #05

E poi c'è Yasu.

Questo splendido, dolcissimo ragazzo giapponese sbucato da Dio solo sa dove.
Ci siamo conosciuti quasi due mesi fa su internet. Mi ha mandato un'email dicendo di essere contento che sarei venuto in Giappone. Abbiamo cominciato a scambiarci email tutti i giorni, sempre più assiduamente, abbiamo cominciato a scambiarci le nostre foto, i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre paure, i nostri desideri.
E ci siamo accorti di desiderarci l'un l'altro.

Ci siamo innamorati, pur non essendoci mai incontrati di persona.

L'innamoramento che provo per lui è diverso dall'amore che provo per Federico.
E' qualcosa di nuovo, di fresco, che non mi fa pensare al passato, che mi rende cieco, muto, sordo.
E' l'innamoramento che annulla tutto e tutti. Stravede per me, e ciò mi fa sentire vivo, amato.
Desiderato.

E' la prima volta che lui si innamora, e di conseguenza prova di qualcosa di travolgente, impetuoso. Ho voglia di ricominciare tutto da capo con lui. Il prossimo weekend andrò a trovarlo a Kanazawa, dove abita, sulla costa ovest del Giappone.
Ci stringeremo l'un l'altro, saremo lontano dal mondo, lontano da tutti.
Per due giorni io diventerò lui e lui diventerà me. Non esisterà nessun altro al mondo tranne noi due.

E' straordinario, riesce sempre -sempre- a tirarmi su, a farmi star meglio, a rubarmi un sorriso.
Ho bisogno di lui, è il primo raggio di sole entrato nella mia nuova vita.
Chissà se funzionerà tra noi. Ma non voglio pensarci ora, voglio solo godermi ogni attimo, ogni istante di felicità che riesce a regalarmi.
Finchè dura.

mercoledì 19 maggio 2010

Tokyo Life #04

Orizzonti costanti non ce ne sono.
E' tutto un susseguirsi di respiri, di battiti di cuore, di ansie, di foglie al vento, di miracoli blasfemi, di angeli, di demoni. Di notti senza stelle.
Di stelle senza notti.

Il mio amico Hiro è stato qui ieri sera, siamo andati a mangiare degli ottimi okonomiyaki (--> vedere Kiss me Licia --> Marrabbio XD) a Shinjuku a poi abbiamo trascorso un paio d'ore a cantare in uno dei millemila Karaoke della città.
Facendo finta di divertirmi, facendo finta di stare bene. Facendo finta di vivere.

Ansie, timori, longitudini errate, si scontrano gli uni con le altre. Avrei voluto dire e fare tante cose, ma sono bloccato. Bloccato. Bloccato.

Hiro ha dormito da me, nel mio appartamento. Abbiamo parlato e scherzato e riso fino alle tre del mattino. Poi ci siamo addormentati. O meglio, lui si è addormentato, io sono rimasto sveglio tutta la notte. Sono tre notti che non chiudo occhio. E non sento la stanchezza, non ancora almeno. Ma so che prima o poi crollerò, fisicamente e psicologicamente. E dovrò rialzarmi, per l'ennesima, maledetta volta.

Apro le mie mani e cosa vedo? Vorrei vedere lui, ma lui è lontano.
E sto qui a piagnucolare come una bambinetta.
Ti voglio. Ti voglio. Ti voglio. Sempre di più.
Ti amo.
Quanto sono patetico!
Sono stanco di combattere per vivere. Sono stanco di vivere per combattere. Sono stanco di indossare maschere.
Ho persino dimenticato per cosa ho combattuto in tutti questi anni. Ho quasi dimenticato anche il mio nome. Piango.

Accanto a me, seduto alla mia destra, c'è un uomo sulla quarantina, il classico "salary-man" giapponese, che armeggia col suo pc; e intanto, con la coda dell'occhio, lancia uno sguardo verso di me per cercare di capire il motivo delle mie lacrime. O magari gli sto solo dando fastidio e non vede l'ora che mi alzi me ne vada. Affari suoi.


Ho trovato una libreria italiana, nel quartiere di Jimbocho, sono entrato e ho chiesto se avessero bisogno di qualcuno che lavorasse là. Si sono scusati e mi hanno detto di no, ovviamente.

Sono appena stato alla Shogakukan, una delle due più importanti case editrici giapponesi. Ho parlato con il direttore editoriale della rivista Shonen Sunday. Ha molto apprezzato il mio artbook, ma mi ha detto che non essendo un nativo giapponese, non potrò mai lavorare come fumettista, qui.
Bel discorso del cazzo, fottuto muso giallo, e complimenti per la tua apertura mentale.

Sono stato anche alla Shueisha, la seconda casa editrice per importanza. Mi hanno dato un numero di telefono da chiamare. Detto fatto. Per fortuna il redattore che mi ha risposto parlava inglese; ho preso un appuntamento con lui tra due giorni, è il redattore di Weekly Jump (non so se mi spiego, One Piece, Naruto, Bleach, e compagnia bella...) . Speriamo bene. Ma sono pessimista, come al solito.

E poi c'è Yasu.

martedì 18 maggio 2010

Tokyo Life #03

Una cioccolata fredda con ghiaccio. Le mie Mild Seven One. Il mio pseudo-futuristico cellulare giapponese. Seduto in una caffetteria elegante e trendy nel centro del quartiere gay di Tokyo. Tra persone che ti scrutano, ti guardano attraverso il vetro. Tra sguardi indiscreti e sorrisi accennati.

Sono ferito e sanguino, sanguino lacrime e luci al neon.
Se almeno mi trovassi nel deserto del Nevada, avrei una scusa più plausibile e meno infantile per sentirmi solo. E invece sono qui, e mi ci sento lo stesso.
Mi biasimo, mi incolpo.
E mi faccio ribrezzo da solo.

Fare a meno di me, ecco cosa dovrei fare. Ma come è possibile? Come si fa?
Che gusto c'è in tutta questa tristezza?
Che gusto c'è in tutta questa malinconia?
Vorrei avere un paio d'ali, ma non di quelle che si squagliano se ti avvicini troppo al sole. Quelle durano troppo poco e non andrei molto lontano.

E' questo il posto giusto per me?
Esiste un posto giusto per me?
Sono sempre più convinto di no. Altrimenti l'avrei già trovato. O forse, inconsciamente, so qual è, ma cerco di tenermene alla larga per paura. Forse è così. Forse ho solo paura di stare bene. Perchè tutto finisce prima o poi, anche lo star bene.

Orizzonti costanti non ce ne sono.

sabato 15 maggio 2010

Tokyo Life #01

Sono qui a Tokyo. E tutto sembra diverso.
Non so se migliore o peggiore, semplicemente diverso.
Si vive come sempre, qui. Questa città si rinnova sempre, eppure sembra non cambiare mai.
A volte penso quanto sia assurdo tutto ciò.
Quanto sia assurdo trovarmi qui.
E mi domando 'ma che ci faccio qui? E' davvero questo il mio posto? E' davvero questa la mia realtà?'
No. Non lo so. A quasi trent'anni ancora non ho capito, ancora non so, qual è la mia realtà.
Una volta amavo questo posto, questa città, ora non lo so più.
Ed è sconvolgente. E' come se il mondo intero mi fosse crollato addosso. Vivi rincorrendo un sogno. Un sogno che pensi possa portarti la felicità, ma poi ti rendi conto che quel sogno non esiste più. E allora sembra andare tutto in frantumi. Piccolissimi pezzettini di vita che non sai se e quando riuscirai a rimettere insieme. Per ora restano lì, sparsi a casaccio sul pavimento della tua testa, del tuo cuore.
Credevo non mi sarebbe mancato nulla, e invece mi manca tutto. Mi mancano tutti.

Mi manca mia madre, e saperla così lontana da me mi fa star male. Sono preoccupato per lei. Lo so che forse non dovrei, ma è così e non posso farci nulla. Io ci sono quasi sempre stato quando aveva bisogno di me, e ora come farà? Penso.

Mi manca mia sorella. Strano a dirsi. Nonostante tutte le volte che non ci sopportiamo, che litighiamo, che ci offendiamo gratuitamente a vicenda, nonostante tutto ciò, mi manca da morire. Beh, è anche ovvio, no? In fondo è mia sorella.

Mi mancano i miei amici. Tantissimo.
Mi manca Annalisa. Mi manca suo figlio Daniele. Credevo di riuscirci, invece è praticamente impossibile riuscire a vivere senza di loro, ormai. Soprattutto quel bambino. Quel bambino che per quasi un anno è stato come mio figlio. Paradossale, eh? Un gay che ha sperimentato per un anno l'ebbrezza di essere padre ed ora non riesce più a farne a meno. Assurdo. Come tutto, del resto.
Adoro Annalisa. L'ho sempre considerata la mia migliore amica, la mia "altra sorella", ed ora è lontana dodici ore nel tempo da me. Soffro.

Mi manca Lorenzo. Il mio migliore amico. Noi tre eravamo formidabili insieme, e chissà se lo saremo mai più...
Non pensavo avrei sofferto così tanto anche la distanza da lui, non perchè gli voglia meno bene, anzi, ma semplicemente perchè ero convinto di poter essere più forte. In realtà ero convinto di molte cose. Ero, appunto.

Mi manca Elisabetta. Mi manca Ines. Mi manca Fede. Mi manca Marcello, Sara, e tutti gli altri componenti di quel gruppo meraviglioso di amici che mi ero fatto. Tutti loro, che prima di partire mi hanno riempito di regali. Mi mancano le uscite insieme, i pomeriggi a cantare, a cazzeggiare, le risate, gli abbracci. Stare insieme solo per il gusto di starci.
Voglio un bene immenso a tutti loro. Non avrei mai voluto allontanarmici. E invece.

Mi manca Federico.